La corsa del made in Italy. Nei primi nove mesi le vendite sui mercati internazionali crescono del 20,1% sul 2020 e del 5,8% sul 2019: un risultato migliore della media europea. Dalle fiere un contributo determinante alla promozione delle imprese italiane all’estero
Giovanna Mancini
La crescita delle esportazioni italiane nei primi nove mesi del 2021 ha segnato secondo l’Istat non solo un +20,1% in valore rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ma soprattutto un +5,8% rispetto ai primi nove mesi del 2019 che, è bene ricordarlo, era stato un anno molto positivo.
La corsa del made in Italy Anche sul fronte delle esportazioni, dunque, il nostro Paese si sta dimostrando più reattivo e dinamico dei vicini europei, come fa notare Carlo Ferro, presidente dell’Agenzia governativa Ice per la promozione e l’internazionalizzazione delle imprese italiane: «Questo +5,8% è un dato non scontato, nel quadro della ripresa del commercio mondiale, se consideriamo che la media Ue è del 5% e che grandi esportatori occidentali come Regno Unito, Stati Uniti o Francia sono ancora sotto i livelli pre-Covid». Merito delle imprese italiane, osserva Ferro: della loro capacità di reazione e della loro competitività.
Anche perché, come fa notare Alessandro Terzulli, Chief Economist di Sace, a correre non sono solo i beni associati all’eccellenza del made in Italy, come il food, l’arredo-design o l’abbigliamento (che, anzi, sconta ancora gli effetti della crisi
sanitaria), ma anche e soprattutto i beni strumentali, in particolare i macchinari per l’industria, trainati dai piani di investimento che molti Paesi stanno adottando per uscire dalla crisi.
Previsioni e mercati È proprio Sace a fornire le previsioni per i prossimi mesi e il prossimo triennio, indicando anche i mercati con le maggiori potenzialità, individuati incrociando due variabili: la rapidità con cui l’export italiano riuscirà a recuperare i livelli del 2019; e la capacità in prospettiva di mantenere nel triennio 2022-2024 un tasso di crescita superiore a quello del triennio 2017-2019. «A fine 2021 ci aspettiamo una crescita complessiva delle esportazioni attorno all’11,3%, a quota 482 miliardi di euro – dice Terluzzi – e riteniamo che questo trend positivo si manterrà anche negli anni successivi, sebbene a ritmi inferiori». Per il 2022 si attende dunque un +5% e poi un +4% nel 2023 e 2024. I mercati più rilevanti, considerando le due variabili sopra
elencate, saranno secondo Sace la Germania e gli Stati Uniti, ma anche l’Europa non comunitaria, l’Asia (con in testa la Cina) e i Paesi del Golfo, in particolare gli Emirati Arabi Uniti, grazie anche al traino di Expo Dubai. E poi ci sono alcuni mercati più piccoli, che non entrano nella graduatoria Sace, ma verso cui Terzulli consiglia di guardare: l’America latina, ad esempio, e alcuni Paesi africani. Il traino delle fiere Uno degli strumenti fondamentali per l’export delle aziende – soprattutto quelle più piccole e soprattutto verso mercati lontani – è rappresentato dalle manifestazioni fieristiche. Negli ultimi anni i principali player italiani del settore hanno infatti investito per portare sui mercati chiave i propri format di maggiore successo, in cui i prodotti made in Italy sono protagonisti. «Come Ice sosteniamo molte iniziative di questo tipo – spiega il presidente Ferro –. Tuttavia, il grado di internazionalizzazione del nostro sistema fieristico è ancora relativamente limitato, rispetto ad altri sistemi concorrenti, come quello tedesco. Investire in questa direzione è importante».
Non c’è una strategia univoca per farlo, spiega Naji El Haddad, direttore per l’area Medio Oriente e Africa dell’Ufi, l’associazione internazionale dell’industria fieristica: «In Africa, ad esempio, uno dei modi più efficaci è stringere accordi con enti pubblici locali. Negli Emirati Arabi, invece, il settore delle fiere è molto maturo e in qualche modo saturo, perciò potrebbe essere consigliabile fare degli investimenti diretti. In altri Paesi del Golfo è meglio stringere accordi con operatori locali, che accedono ai sostegni pubblici dei governi».
Un capitolo a parte merita l’America latina, che negli ultimi anni è passata un po’ in secondo piano rispetto ad altre aree emergenti, come l’Asia, ma che continua a offrire grandi opportunità. È il caso del Brasile che, nonostante le turbolenze politiche e sanitarie, «sta vivendo un momento ottimo – assicura Graziano Messana, managing partner di GM Venture e presidente della Camera di Commercio Italo-Brasiliana –. Infatti molte grandi aziende italiane stanno investendo qui e fanno da traino per l’ingresso in questo Paese di medie imprese fornitrici. Si stanno aprendo spazi di mercato in settori in cui il made in Italy è leader, come il fitness, la tecnologia, la sostenibilità e credo che questo offra ottime prospettive non soltanto alle aziende, ma anche agli operatori fieristici che intendono sviluppare il business all’estero».